Competizione e collaborazione

La competizione – che spesso ci ripetono essere positiva e cosa buona giusta – è realmente qualcosa che ci è utile seguire come stile di vita?
O ci danneggia solamente?
Come tante volte accade, generalizzare troppo l’effettiva utilità di un concetto tende a generare più problemi che non vantaggi.
Oggi la competizione è seguita, insegnata e osannata a molteplici livelli. La insegniamo perfino ai bambini, mettendoli uno contro l’altro in virtù del fatto che così possono “imparare ad eccellere”. Sembra che il solo modo per arrivare all’eccellenza personale sia quello di sbattere qualcun altro per terra. Magari calpestandolo, perché più lo umilio più sembro grande e potente agli altri.
Ma l’eccellenza è davvero legata all’opinione che gli altri hanno di noi? Tanti secoli di evoluzione e siamo ancora fermi al concetto che il re e il faraone sono più grandi e importanti di tutti noi poveracci solo perché hanno la possibilità di calpestarci?
Competere e amare competere non è un male di per sé. E’ una componente importante, che troviamo già nelle prime fasi della nostra vita. Quando eravamo bambini e giocavamo da soli o con i nostri amici, si verificavano situazioni in cui dovevamo cercare di essere i migliori. Ci serviva per imparare, per capire le nostre capacità , i nostri limiti, e per accorgerci che potevamo migliorare.
E’ questo l’ambito in cui la competizione da’ il suo massimo: l’apprendimento. Lo scopo della competizione è prima di tutto insegnarci che possiamo migliorare e in che modo.
Quello che è profondamente sbagliato è applicarla a qualunque aspetto della nostra vita. Solo perché Darwin e la scienza moderna ci dicono che in natura sopravvive solo il più forte. E’ come usare un coltello per dipingere: puoi anche farlo, ma il risultato che ottieni potrebbe non essere la cosa bella e magnifica che avresti voluto ottenere.
Se ognuno di noi guarda attentamente la natura che tanto prendiamo – giustamente – ad esempio e scusa per i nostri comportamenti, ci accorgiamo che essa non si basa sulla competizione. La competizione esiste, ma finalizzata ad un ambito ben preciso, ovvero quello della sopravvivenza. Non c’é animale o pianta che passi il 100% del proprio tempo a competere per la sopravvivenza. Lo fa solo per una parte della sua giornata, e solo quando minacciato o quando deve mangiare. Cose importanti, ma che non sono tutta la sua vita.
Osserviamo realmente la natura in tutta la sua complessità , e ci accorgeremo che ciò che fa prosperare e star bene una specie non è la competizione, ma la collaborazione.
L’essere umano ha smesso di essere divorato da tigri e leoni solo quando ha cominciato ad andare in giro a gruppi di tre o più individui, invece di uno solo. La popolazione è aumentata solo quando un gruppo di persone ha cominciato a vivere insieme, coltivando, cacciando, distribuendo tra tutti sia il lavoro che i risultati, condividendo la vita. La stessa cosa accade negli animali, che si raccolgono in famiglie e piccoli gruppi per meglio affrontare le sfide di ogni giorno.
Smettiamo di dar retta a chi ci dice superficialmente che prima di ogni cosa dobbiamo imparare a competere e a vincere. Smettiamo di insegnare ai nostri bambini che devono pensare prima di tutto a se stessi e a mettere gli altri in una posizione più debole. Siamo arrivati dove siamo solo grazie alla nostra capacità di raggrupparci e di lavorare insieme. Indebolire il prossimo significa solo indebolire noi stessi. Non è a causa della presenza di qualche criminale, o truffatore, o persona malvagia che questo principio viene meno.
La collaborazione viene prima di ogni cosa. Soprattutto ora che abbiamo la possibilità di non preoccuparci così tanto della nostra sopravvivenza. La collaborazione deve tornare ad essere il nostro stile di vita, mentre la competizione deve essere vista nuovamente come lo strumento che in realtà è, un semplice mezzo che ci aiuta a capire dove e come possiamo migliorare noi stessi… insieme ai nostri simili, non a loro spese.